Maschere! Ma Il Carnevale Non C’entra.

“ Giocando a poker, non devi lasciare che nessuno al tavolo capisca che carte hai in mano, cosa provi, cosa pensi: devi crearti una faccia da poker. Nel penitenziario di Oz, abbiamo la faccia da poker tutto il giorno, e tutta la notte. La teniamo talmente a lungo, che quando ci guardiamo allo specchio non sappiamo a chi facciamo la barba. ”

Detenuto August Hill, cantastorie della serie televisiva americana “Oz”.

Maschere: StudioPsicologiaTorino

La neutralità come strategia di sopravvivenza, l’anestesia emotiva come difesa, la maschera come filtro di pensieri e sentimenti. Sono strumenti il cui utilizzo possiamo comprendere se li pensiamo nel duro ambiente carcerario, in cui mostrare debolezza o sensibilità significa prestare il fianco a soprusi, assoggettamenti e violenze. Ma che dire delle nostre quotidiane e civili esistenze?

Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero” diceva Oscar Wilde, evidenziando come in molte occasioni il proprio pensiero si esprima più facilmente nella sicurezza dell’anonimato, nella “giustificazione” dell’ebrezza o, perché no? nella “distanza” di blog e social network. Anche le persone comuni dunque indossano maschere, tanto più quanto più sentono di dover nascondere parti di sé che ritengono “non normali”, “inadeguate”, “non accettabili”. La Psicologia di Alfred Adler ci insegna che con i nostri sensi non possiamo recepire dei fatti, ma soltanto un’immagine soggettiva, un riflesso del mondo esterno, ed ognuno nella vita si comporta come se avesse un’opinione molto precisa sulla propria forza e sulle proprie capacità. Il nostro comportamento scaturisce dalla nostra opinione: dall’idea che ci siamo costruiti su di noi e sul mondo. Di qui anche le scelte su ciò che riteniamo di poter o non poter mostrare, di dover o non dover mascherare.

La maschera della donna che tollera le violenze del coniuge senza denunciare, quella dell’uomo che non ha il coraggio di lasciare e preferisce tradire, quella di chi finge affetto dissimulando il proprio vuoto emotivo, quella di chi fa esattamente l’opposto. E poi quella dell’indifeso, quella del leader, quella del “tutto bene grazie” e quella del “sapessi che giornata”, quella dell’euforico e dell’aspirante suicida, quella del seduttore, dell’ “oddio che mal di testa” o del “nessuno mi capisce”. Ogni maschera con il suo specifico aspetto, ognuna con la propria funzione, una maschera per ogni stagione del nostro umore.

maschere: StudioPsicologiaTorinoDal punto di vista psicologico la maschera rappresenta un filtro tra la nostra coscienza individuale e l’esterno: coppia, famiglia, società. C’è una maschera dove c’è una relazione, un’interazione umana: solo quando siamo da soli non ne abbiamo bisogno.

Se ne siamo consapevoli, le maschere ci aiutano ad immedesimarci nei vari ruoli a cui la società ci chiama, ad agire e relazionarci nel nostro ambiente di vita. Quando è presente un sufficiente equilibrio emotivo e una adeguata conoscenza di sé, è possibile entrare ed uscire dalle varie maschere senza forzature ed in modo armonico, consapevoli in ogni momento di chi siamo, di come ci stiamo muovendo e dove stiamo andando. Le maschere diventano così strumenti al nostro servizio, arricchimento ed espressione della nostra personalità.

Al contrario, finché l’individuo non conosce se stesso non può riconoscere le maschere, ed è invece vissuto da esse. Quando manca un reale contatto con se stessi, con le proprie istanze ed aspirazioni, con i propri sentimenti, in assenza quindi di comprensione e di significato, l’individuo  si incancrenisce in una sola modalità di espressione del proprio essere, diventa maschera, unica e arida. La persona che “diventa” il proprio corpo, il proprio ruolo sociale o familiare, il proprio lavoro,  la propria missione, si identifica con la maschera in modo così totalizzante da dimenticare che sotto ci sia mai stato qualcosa.

maschere: StudioPsicologiaTorinoE’ bene evidenziare come ci siano fasi della vita che “richiedono” una rigida, quasi dogmatica identificazione: pensiamo all’adolescente e alle sottoculture urbane alle quali sceglie di aderire, e dalle quali si fa definire e rappresentare. Dirsi ed essere Punk, Metal, Hip Hop, Squat, Dark, Emo piuttosto che Hipster per esempio, è frutto di un processo di separazione dai genitori, di esplorazione, e di individuazione: attraverso le sperimentazioni l’adolescente abbandona lentamente il concetto di sé costruito sull’opinione di madre e padre per sostituirlo ad una considerazione di se stesso derivata dai giudizi dei coetanei, ove è di fondamentale importanza il senso di appartenenza.

Mentre una rigida identificazione in una maschera è fisiologica nell’adolescente impegnato in un complesso compito evolutivo, così non è per l’adulto. Molti dei comuni disturbi di natura psicologica (per es. disturbi d’ansia, del comportante alimentare o della sfera sessuale, attacchi di panico, ipocondria, ecc.) hanno a che fare con la riduzione della gamma di espressioni del proprio essere, che l’individuo mette inconsapevolmente in atto nella speranza di evitare un conflitto interiore, prima che interpersonale. Non a caso uno degli scopi della psicoterapia è aiutare il paziente a costruire un’immagine diversa e più ricca di sé, e una più versatile personalità in grado di muoversi agevolmente nel teatro del quotidiano con i costumi che più sente propri. Gli sarà così possibile finalmente scrivere, e rappresentare, la sceneggiatura della sua vita: da comparsa a protagonista, da passivo a creativo, da cliché ad individuo unico ed irripetibile.

In tema di teatro, le parole di un autore che sul tema della maschera e della riflessione sull’identità ha basato gran  parte della sua opera:

” Una realtà non ci fu data e non c’è, ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere: e non sarà mai una per tutti, una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile. “

Luigi Pirandello. Uno, Nessuno, Centomila.

Psicologo – Psicoterapeuta
lucacometto@studiopsicologiatorino.it