“…possiamo soltanto decidere cosa fare con il tempo che ci viene concesso.”
J.R.R Tolkien, attraverso le parole di Gandalf de “Il Signore degli Anelli”
Il tempo rappresenta la cornice nella quale avviene la nostra esperienza del mondo e si struttura la nostra esistenza. Lamentarsene denuncia un rapporto poco armonico con i contenuti della cornice, gli impegni, le responsabilità, le incombenze, piuttosto che con la cornice stessa. Il tempo è un dato di fatto: la sensazione di avere troppi impegni, di non riuscire a portare a termine quanto ci viene richiesto, di non avere abbastanza tempo da dedicare a noi o alla nostra famiglia è frutto della nostra percezione soggettiva del tempo, ed è spesso fonte di stress ed insoddisfazione.
Dal punto di vista psicologico ciò che conta è quindi il modo in cui “viviamo” il tempo. Tra i primi ad essersi interessati a come la percezione del tempo si rifletta sulla psiche (umore, sensazioni, sentimenti) annoveriamo E. Minkowski e E. Straus, psichiatri della corrente fenomenologica di inizio XX secolo che hanno introdotto i concetti di tempo vissuto e di tempo dell’Io, in contrapposizione al tempo oggettivabile e quindi misurabile.
Chi non ha avuto esperienza di un tempo che non passa mai, o che al contrario è sempre troppo poco? Un tempo dove ogni ora vissuta intensamente (che sia un vissuto di gioia o di sofferenza) “vola via”, così come ogni minuto “vuoto” può risultare eterno quando non si sa dove andare o cosa fare. Nel ricordo poi la situazione è capovolta, un periodo di tempo pieno di stimoli è ricordato come più lungo di uno senza stimoli: quanto è vivido e persistente il ricordo dello sguardo complice della persona desiderata, e quanto invece quello dell’ultima coda fatta alle Poste? Scherzi della mente.
“Le cose importanti da ricordare sono i dettagli, i dettagli rendono la storia credibile” lo faceva dire Q. Tarantino ad uno dei personaggi del suo “Le Iene”. I dettagli inoltre dilatano il tempo e rendono un ricordo meritevole di essere ricordato, durevole. La mente attribuisce senso a tutti gli oggetti della nostra esperienza, il mio lavoro, la mia famiglia, le mie relazioni, i miei soprammobili… e così fa con il Tempo: lo riempe, o svuota, di significato, di valore e di sentimenti. Tutte e tre le dimensioni del tempo, passato, presente e futuro, possono essere colorate affettivamente in maniera molto differente, e la relazione che instauriamo con esse condiziona il nostro benessere, la nostra capacità di essere efficaci, addirittura può determinare disturbi psicologici.
Vivere nel Passato ed esserne prigioniero, è tipico degli stati malinconici e depressivi, nei quali non v’è alcuna capacità di immaginare l’avvenire e nessuna possibilità di esprimere quella creatività tipica del procedere in avanti per costruire attivamente il domani. In questi stati viene meno l’orizzonte della vita, e viviamo il tempo in senso inverso: al muoversi intenzionalmente verso il futuro sostituiamo l’attesa che esso avanzi verso di noi, con quel senso di vuoto dove il tempo non è più vissuto, ma subìto. Altri disturbi psicologici connessi alla dimensione del passato sono quelli derivanti da traumi: essi interferiscono nella linearità nel tempo creando una ciclicità per la quale rimaniamo bloccati a situazioni antiche che si riattualizzano, senza possibilità di imparare dall’esperienza e di determinare un cambiamento di vita. Nessun passato ha senso, senza un presente a cui fare riferimento.
Il Futuro è il terreno del desiderio e della speranza, ma anche di emozioni come l’ansia e l’angoscia, che si sviluppano in relazione all’imprevedibilità dell’avvenire. In particolare nelle persone affette da disturbi d’ansia, si ha la perdita della dimensione del passato e la focalizzazione sul futuro e su ciò che esso porterà: è l’intolleranza dell’incertezza, l’incapacità di sopportare la possibilità che nel futuro si possano verificare eventi inaspettati. L’ansioso rimugina sul futuro, vive nel futuro, proteso in avanti in un’anticipazione dei fatti temuti. Chi ha sofferto di attacchi di panico ben conosce quell’ansia anticipatoria che, guardando al futuro possibile attraverso il buco della serratura, paralizza facendo perdere di vista il presente e tutto ciò che contiene. Nessun futuro è auspicabile, senza un solido presente dal quale progettare.
E chi vive nel Presente? È ancorato alla realtà, adeguato, equilibrato? Dipende. Per quanto riguarda la psicopatologia siamo nel campo della mania: chi si trova in stato maniacale è “tutto presente”. Non radicato nel passato e non proiettato al futuro, facilmente prende iniziative che poi non vengono portate a termine, e con la medesima facilità partorisce idee non vengono coerentemente seguite. È continuo procedere senza origine e senza meta. Tali stati possono essere endogeni, oppure indotti da sostanze come la cocaina.
Al di là di queste manifestazioni estreme, esistono condizioni più comuni di alterazione del nostro rapporto col presente: si tratta di una rivalità col tempo, un atteggiamento ansioso che ci fa sentire costantemente di fretta, come se le cose da fare siano sempre troppe e le 24 ore sempre troppo brevi. E’ una modalità costante di affrontare ogni giornata, sia lavorativa che di festa, e le cose non sarebbero diverse se si avessero a disposizione 48 ore al giorno. Chi vive in questo modo persegue un attivismo estremo, vuole fare tutto, farlo bene, possibilmente da solo, senza delegare o chiedere aiuto: la frenesia come stile di vita. Questo approccio alla quotidianità conduce spesso a manifestazioni psicologiche come frustrazione cronica, senso di inadeguatezza, nervosismo ed irritabilità, pigrizia, senso di vuoto o ansia quando si ha del tempo libero, oltre a sintomi somatici come disturbi gastrici e digestivi, mal di testa, cali di pressioni improvvisi, disturbi del sonno.
Chi vive una vita a cottimo,sempre in stato di emergenza, cerchi di tranquillizzarsi a questo pensiero: l’80% dei risultati viene ottenuto con l’utilizzo del 20% delle risorse, ed il restante 80% delle risorse viene impiegato per ottenere soltanto il 20% dei risultati. È la cosiddetta “Legge di Pareto”, dal nome dell’economista italiano vissuto a cavallo del XX secolo. Adattata al tempo, questa legge ci dice “l’80% dei risultati significativi si ottiene con il 20% del tempo. Il restante 80% del tempo verrà impiegato per raggiungere un misero 20% dei risultati”. Certo il fattore tecnico della gestione del tempo è importante per raggiungere i nostri obiettivi, ma è il fattore psicologico che più conta, perché può agevolare, o sabotare, anche la migliore pianificazione dell’attività. L’idea che le nostre risorse (fra le quali il tempo) siano limitate e che l’importante sia gestirle il più serenamente possibile, può aiutare a ritrovare equilibrio: darò il massimo accettando i miei limiti e quelli imposti dal sistema in cui mi trovo, valorizzando al pieno il tempo dedicato alle responsabilità, come quello delicato a me stesso.
L’ossessione del presente, del lavoro e del rendimento, che svalorizza ogni attimo di “inutilità” e di “silenzio” della vita, ha una funzione anestetica: ci allontana dalla consapevolezza di chi siamo, dove siamo, dove stiamo andando. Saturare il tempo permette di non sentire le emozioni ed evitare il contatto con noi stessi, di non essere esposti al peso della riflessione. La fretta aiuta a rimanere sulla superficie delle cose, nell’illusione di poter evitare di porci la domanda: “Come mi sento?”.
Certamente la società ha un ruolo nel determinare questa “sindrome da saturazione del tempo”: lo psicologo Friedrich Asslander e il padre benedettino Anselm Grun nel loro libro “Non ho tempo! L’arte di averne di più e vivere meglio”, sottolineano come prima della trasformazione tecnologica della vita quotidiana l’uomo non poteva far altro che adattarsi all’ordine della natura, accettandone le pause. Oggi le pause ci sono, ma non sono quelle dettate dal nostro orologio biologico. Gli autori individuano nell’esercizio dell’attenzione, la cui forma più intensa è la meditazione, una delle vie per riappropriasi della propria serenità: anche senza essere esperti di meditazione, l’importante è iniziare a dirottare l’attenzione dall’esterno verso il nostro interno.
Nel mondo contemporaneo constatiamo un’accelerazione non solo dei processi produttivi ma anche di quelli sociali e, grazie alle nuove tecnologie, siamo all’onnipotenza del poter fare tutto da ogni luogo in ogni momento. Un aumento delle possibilità di azione ed interazione che va a discapito della presenza: pensiamo a quante volte, in compagnia, ci ritroviamo col capo chino sullo smartphone dando priorità all’interazione con la persona assente invece con quella fisicamente davanti a noi. Sono questioni complesse, e si sta appena iniziando a studiare i modi in cui le nuove tecnologie di comunicazione influenzano la nostra psiche e i nostri comportamenti.
Di fronte a questa ansiosa corsa all’occupazione del tempo la soluzione deve essere rallentare, prendersi delle “vere pause”, attendere, nel suo significato originario di “prendersi cura”. Un cambiamento di approccio alla vita quotidiana non facile da realizzare.
In tutti questi scenari di rapporto compromesso col Tempo può intervenire lo psicologo, reintegrando il passato nella vita attuale, aiutando a riprendere il controllo del presente rendendolo più armonico e sostenibile, preparando ad un futuro realistico ed auspicabile.
“Estremante breve e travagliata è la vita di coloro che dimenticano il passato, trascurano il presente, temono il futuro: giunti al momento estremo, tardi comprendono di essere stati occupati tanto tempo senza concludere nulla.”
Seneca